In che modo MOAS sta facendo la differenza in Ucraina – Intervista a Christopher Catrambone

Christopher Catrambone, fondatore di MOAS (Migrant Offshore Aid Station), è stato intervistato da Sarah Farnsworth e Michele Kreissper la newsletter settimanale di JT Strategic Communications – sulla nostra missione in Ucraina.

Nel blog di questa settimana vi presentiamo il pezzo completo, che può essere utile dal punto di vista informativo oltreché, speriamo, di ispirazione.

 

“MOAS è l’unica ONG che in Ucraina si occupa dell’evacuazione sicura dei soldati e civili gravemente feriti dal fronte agli ospedali per permettere loro di ricevere cure e riabilitazione. Nel mese di marzo 2022, dopo l’inizio dell’illegittima invasione russa nel Paese, sono iniziate le operazioni di MOAS in quell’area, cominciando con l’evacuazione dei soldati feriti che si trovano in prima linea. Ogni giorno, con una squadra di 51 ambulanze, i medici si occupano specialmente dei giovani uomini che hanno subìto gravi traumi causati da schegge, mine, fuoco di artiglieria, armi leggere, sistemi a razzo e altre lesioni sul campo di battaglia. Più di 45.000 vite sono state salvate – il 72% dei feriti gravi è stato evacuato – e il conteggio continua. “Quello che stiamo facendo in Ucraina è nuovo, ma non è scienza spaziale. È matematica di base. Salvare le vite dei soldati ucraini aiuta il loro Paese a rimanere in guerra. È così semplice”. Ha detto Christopher.

Un video sul lavoro del MOAS in Ucraina è disponibile qui.

Christopher ha ricevuto diversi riconoscimenti, inclusa la “Croce d’Onore” del Ministro della Difesa ucraino, e il ringraziamento del Comandante in Capo delle Forze Armate Ucraine, Alexander Sirsky, che ha riconosciuto la grande importanza del lavoro di MOAS e delle attività della sua missione in Ucraina. (…)”

Quando sente la parola “Ucraina” a cosa pensa?

Una singola parola non potrebbe mai renderle giustizia, e io sono sempre stato uno che infrange le regole. Quindi gliene dirò due: resistenza ed emergenza.

Gli ucraini rappresentano l’esempio di forza e resilienza di fronte alla violenza e alla persecuzione. Dopo più di 2 anni dall’invasione russa su larga scala, continuano a lottare per il proprio Paese. Molti di loro hanno dovuto rinunciare al loro lavoro, alle speranze e alla vita. Le famiglie sono state distrutte. Ma lo spirito del popolo ucraino è indomito.

Detto questo, si percepisce una sensazione di emergenza intrinseca alla vita qui. Credo che il resto del mondo non comprenda appieno la posta in gioco e quanto sia importante dotare l’Ucraina di ciò che le serve per respingere le avanzate della Russia. L’Ucraina ha investito tutte le proprie risorse in questa lotta. La guerra che sta combattendo non riguarda solo lei, ma è una guerra per l’Europa e per l’ordine mondiale. Non possiamo lasciare l’Ucraina da sola. Eppure, due anni dopo l’invasione russa su larga scala, l’attenzione del mondo ha iniziato a calare.

Non possiamo permettere che questo accada.

Cos’è MOAS e perché è stata creata? E come si è evoluta nel corso degli anni?

Quest’anno, MOAS celebra il suo decimo compleanno. L’organizzazione fu fondata nel 2014 per soccorrere le persone migranti in mare – nel periodo in cui la crisi migratoria raggiunse l’apice – utilizzando la tecnologia dei droni per salvare le persone. È stata la prima ONG in assoluto a svolgere ricerca e salvataggio nel Mediterraneo.

Da allora, il portfolio dei progetti ha continuato a espandersi e a diversificarsi in tutto il mondo. MOAS è specializzata nella ricerca e nel soccorso in mare, nella preparazione alla risposta alle emergenze, nell’implementazione degli ospedali da campo, nella consegna di aiuti complessi dal punto di vista logistico e, più recentemente, nell’evacuazione dei feriti e nella cura delle loro lesioni.

Tutti questi programmi hanno un elemento comune: riempiono un vuoto nella risposta alle crisi nelle aree del mare Mediterraneo ed Egeo, del Bangladesh, della Somalia, dello Yemen, del Sudan e dell’Ucraina.

Lo staff di MOAS va dove gli altri temono di andare. Guidata dall’innovazione ed efficienza, MOAS crea un modello di lavoro considerato impossibile. Noi accediamo ad aree che altre organizzazioni considerano troppo rischiose. Lottiamo per dimostrare che l’impossibile è possibile anche nelle condizioni peggiori, progettando soluzioni altamente innovative e tecnologiche alle sfide logistiche e di attuazione che altre organizzazioni faticano a risolvere. Promuoviamo inoltre solide relazioni con le organizzazioni partner e gli attori statali competenti, e utilizziamo tutte le risorse tecniche e umane a nostra disposizione.

MOAS si evolve con ogni nuova missione. Come per altri programmi, anche per quello in Ucraina siamo partiti da zero.

Ho fatto base in Ucraina dall’inizio della guerra. Considero una mia responsabilità personale quella di assicurare che questa operazione così delicata venga condotta secondo i miei standard precisi, oltreché quella di essere qui per risolvere i problemi in tempo reale per mantenere l’efficienza e l’efficacia delle attività.

Sono stati compiuti passi decisivi per stabilire relazioni con nuovi donatori, registrare MOAS in Ucraina per facilitare i movimenti all’interno del Paese, aprire nuovi canali di approvvigionamento per ambulanze appositamente adattate e reclutare un team di oltre 150 medici e autisti capaci e disposti a svolgere questo lavoro in prima linea. Oggi MOAS è responsabile dell’evacuazione del 72% dei feriti più gravi dal fronte. Abbiamo salvato oltre 45.000 soldati e curato altri 25.000 civili nella comunità, senza perdere nemmeno una vita. Alla fine, il nostro obiettivo è poter dire: “Abbiamo fatto tutto il possibile per salvare vite umane. Abbiamo utilizzato ogni connessione e strumento a nostra disposizione e non abbiamo lasciato nulla a metà”.

Come ha reclutato il suo staff?

Lo staff di MOAS è composto esclusivamente da ucraini. All’inizio il team era misto, ma la complessa logistica per far entrare e uscire il personale internazionale, registrare le sue credenziali, ecc. era proibitiva e richiedeva molte risorse. Con il tempo abbiamo instaurato delle relazioni con il Ministero della Salute e il Ministero della Difesa che hanno migliorato il nostro sistema di reclutamento di medici, anestesisti e autisti tattici locali.

Lavorare con uno staff locale non è solo più semplice dal punto di vista della logistica, ma anche per via della dedizione e disciplina del team ucraino, che sono ineguagliabili. Gli ucraini hanno un interesse personale nei risultati, sentono una connessione con i nostri pazienti, e hanno un innato rispetto per i soldati e gli attori statali con cui hanno a che fare quotidianamente. Se a questo si aggiunge anche la loro capacità di comunicare e di orientarsi in maniera semplice e libera, ci si accorgerà che il nostro staff è incredibilmente efficace e motivato.

Noi paghiamo bene e il lavoro che portiamo avanti è molto gratificante, motivo per cui i membri del nostro team rimangono volentieri insieme a noi. Non abbiamo quindi bisogno di spingere sul reclutamento come facevamo in passato: noi cerchiamo nuovo personale solamente quando le vecchie risorse si esauriscono. Seguiamo un processo di selezione rigoroso, che include una verifica delle qualifiche e dell’accreditamento, un colloquio approfondito, una prova sul campo, e poi prevediamo ulteriori percorsi di formazione, aggiornamento e verifica che hanno luogo ogni tre mesi.

MOAS intende avere uno staff internazionale in Ucraina?

Al momento, non stiamo reclutando medici o autisti internazionali. Tuttavia, se questo dovesse cambiare, noi lo comunicheremmo sui nostri canali. Allo stesso tempo, siamo sempre alla ricerca di personale che ci supporti nella gestione delle relazioni pubbliche e nella raccolta fondi, che sono parte fondamentale per il mantenimento di queste operazioni incredibilmente bisognose di risorse. Chiunque abbia interesse a lavorare, fare volontariato, o fare una donazione a MOAS puo contattarci all’indirizzo [email protected].

Dove lavorate in Ucraina? In quali ospedali portate i feriti?

Abbiamo 14 basi su tutta la linea del fronte, tra 10 e 50 km (6-31 miglia) da dove avvengono gli attacchi. Queste basi si coordinano con gli ospedali militari e punti di stabilizzazione per ricevere le segnalazioni di soldati gravemente feriti, soggetti a respirazione artificiale e con necessità di supporto vitale. Una volta ricevuta la segnalazione, le strutture riceventi sanno che avranno bisogno dell’intervento di MOAS per evacuare i feriti, quindi ci contattano direttamente per richiedere supporto.

Noi mobilitiamo le nostre squadre dalla base per arrivare dove è necessario per recuperare i pazienti dai siti di recupero. Questi siti sono piuttosto basici, privi del tipo di tecnologia o delle risorse necessarie per un’assistenza traumatologica completa. Non sono segnalati, per motivi di sicurezza, e collaborano solo con organizzazioni ampiamente controllate e pre-approvate. Il personale di questi siti in prima linea è incredibile per quello che riesce a fare in condizioni così stressanti e povere di risorse. Esso fornisce le prime cure traumatologiche e gli interventi chirurgici d’urgenza necessari a stabilizzare il ferito per il trasporto.

La nostra è una delle poche organizzazioni, siano esse ONG, statali o private, ad essere attrezzata e a disporre di personale in grado di trasportare pazienti in gravi condizioni, inclusi quelli soggetti a respirazione artificiale, per le ore necessarie all’arrivo alla struttura di destinazione. Il sito di trasferimento è coordinato da quello di prelievo, quindi – appena prelevato il paziente – veniamo informati su quale équipe e quale struttura sono preparate a riceverlo. Ci mettiamo in contatto con loro durante tutto il viaggio per assicurarci che al nostro arrivo siano pronti e in attesa, con una conoscenza completa dello stato del paziente, per facilitare un passaggio di consegna fluido ed efficiente.

Le nostre unità sono in costante contatto anche con i nostri operatori di logistica e capi squadra presso la loro base, comunicando l’uso dei materiali di consumo che devono essere sostituiti, riferendo lo stato del paziente, coordinando i percorsi e affrontando eventuali problemi di emergenza. Dopo il trasferimento del paziente, le unità si disinfettano immediatamente e tornano alla base per rifornire i veicoli che devono essere pronti per il prossimo intervento.

Lei ha detto che altre organizzazioni, come la Croce Rossa o Medici Senza Frontiere, non possono o non vogliono svolgere il lavoro che MOAS conduce in prima linea. Perché?

Per due motivi principali. Il primo consiste nella difficoltà a sostenere la spesa e l’approvvigionamento per dotare un’ambulanza delle attrezzature e del personale competente a trasportare pazienti intubati, ventilati e critici per le 5 ore necessarie al trasporto. Noi abbiamo un anestesista in ogni unità, ventilatori, defibrillatori e infusori in ogni veicolo e una scorta di farmaci per via endovenosa necessari per trattare i pazienti incoscienti.

Il secondo è che questo tipo di servizio di evacuazione specializzato è più necessario al fronte per i feriti che fanno parte dell’esercito o della protezione civile. Naturalmente, in quanto organizzazione umanitaria, seguiamo la Convenzione di Ginevra, e tutti i nostri pazienti sono disarmati ben prima che la nostra squadra interagisca con loro, ma la complessità di lavorare a stretto contatto con il Ministero della Difesa e gli ospedali militari è qualcosa che rappresenta un rischio troppo grande per molte ONG.

Noi siamo convinti che ognuno abbia il diritto alle migliori cure mediche possibile, a prescindere da chi sia. È un principio dell’aiuto umanitario, e noi siamo determinati a offrire il nostro supporto ovunque esso sia necessario e nella forma in cui è più carente in quel momento.

Qual è la giornata tipo di un membro dello staff di MOAS?

La vita in prima linea è una sfida. Spesso le basi sono sprovviste di elettricità per la maggior parte del giorno, se non per l’intera giornata.  Le squadre sono responsabili di quello che fanno – che comprende la manutenzione della base, delle ambuanze, e il controllo del loro stato di efficienza. In genere le unità intervengono per circa 10 ore, dopodiché si riposano fino al turno successivo. Esse sono pronte a intervenire a qualsiasi ora dato che la maggior parte delle evacuazioni avviene di notte. Noi cerchiamo di fornire loro l’accesso a internet per facilitare le comunicazioni con i loro familiari, e i nostri capisquadra, insieme ai responsabili del sito, promuovono un’atmosfera di cameratismo e di sostegno reciproco all’interno della base.

Il nostro staff può essere dispiegato in una delle nostre basi per un massimo di un anno alla volta. La maggior parte delle squadre ha una famiglia, e la separazione dai propri cari è un grande sacrificio. Anche se i luoghi in cui lavorano sono innatamente rischiosi, sono consapevoli del fatto che il loro ruolo è vitale per le nostre missioni di salvataggio. Per compensare questi sacrifici personali, l’intero team si impegna nei propri compiti al massimo delle proprie capacità e si sostiene reciprocamente.

Di cosa ha urgentemente bisogno MOAS oggi?

Fondi. Detta semplicemente, senza finanziamenti per pagare il nostro staff, mantenere le nostre ambulanze e la nostra squadra al fronte, le nostre operazioni non potrebbero proseguire. Questo è da sempre il nostro bisogno più urgente.

I costi delle nostre operazioni in Ucraina corrispondono a un milione di dollari al mese. La missione nel Paese è interamente finanziata da donatori privati e Fondazioni per via della sua specificità e dell’evoluzione costante delle sue esigenze. Noi siamo sempre alla ricerca di nuovi partner e donatori che siano interessati a programmi di intervento diretto ad alto impatto in cui investire.

Quali sono le sfide che MOAS deve affrontare?

Essere esclusi da molti finanziamenti istituzionali o statali a causa del tipo di lavoro che svolgiamo è stata una sfida enorme fin dall’inizio. Questo tipo di servizio di evacuazione specializzato è fondamentale per i pazienti al fronte che fanno parte dell’esercito o della protezione civile. Per molte istituzioni, sostenere MOAS, una ONG umanitaria che lavora a stretto contatto con il Ministero della Difesa e gli ospedali militari, è difficile da accettare. Ma il bisogno di fondi è grande e urgente. Personalmente, sono determinato a non lasciare che l’operazione fallisca a causa dei finanziamenti limitati.

Come ho già detto, la sicurezza è un’altra considerazione importante per noi in Ucraina. Abbiamo alcuni dei migliori medici e autisti del Paese, che lavorano per mesi o anni in alcune delle regioni più instabili. È una sfida enorme tenersi al passo con questo contesto di sicurezza in continua evoluzione, che richiede al nostro personale logistico e ai capi squadra di rimanere molto flessibili, reattivi e diligenti nelle loro attività quotidiane. Siamo costantemente in contatto con le squadre, condividiamo con loro informazioni, protocolli aggiornati e linee guida. Ma questo non potrà mai essere facile perché si sa che la vita delle persone è a rischio.

Quali storie di successo l’hanno maggiormente colpita?

A giugno, durante la presentazione a Kiev del nostro ultimo libro “Sirene di Speranza: la Missione MOAS per Salvare Vite in Ucraina”, mi ha molto commosso il momento di ricongiungimento del tenente Oleksandr “Biker” Voznyi con i medici di MOAS (Stanislav Geranin – anestesista, Volodymyr Vahonin – paramedico, e Serhiy Goldovansky – autista) che lo hanno tenuto in vita nelle condizioni più difficili dopo che aveva riportato devastanti ferite sul campo di battaglia.

Un anno fa, una granata è esplosa a due metri da lui, distruggendogli polmoni, colonna vertebrale e arti. Un pezzo di schiena è stato strappato, il piede sinistro è stato fratturato in cinque punti e ha subìto una forte perdita di sangue e sette arresti cardiaci. “La gente sosteneva che era inutile rianimarmi”, mi ha detto Oleksandr. “Avevo perso troppo sangue e non potevano iniettarmi alcun farmaco perché le mie vene erano ostruite”. Ma il medico di MOAS in qualche modo credeva di potermi tenere in vita. Mi ha detto che avrebbe continuato a farmi il massaggio cardiaco e mi avrebbe trasferito all’ospedale regionale. Sono estremamente grato alla squadra. Ogni giorno ringrazio Dio di essere vivo. Sono così felice che i miei figli non rimarranno orfani”.

Come è cambiata la sua percezione dell’Ucraina e degli ucraini negli ultimi tre anni?

Dal momento in cui sono arrivato nel Paese, sono stato ispirato dal coraggio, dall’umiltà e dalla solidarietà del popolo ucraino, la cui unica aspirazione è vivere in pace nel proprio Paese e svolgere la propria vita quotidiana, come fanno molti nel mondo – senza bombe, schegge, mine e missili. Il mio rispetto aumenta di giorno in giorno. Il tributo che la guerra ha avuto sulla popolazione sarà misurato dalle generazioni a venire, la ricostruzione richiederà una quantità significativa di energia e risorse.

La lotta è tutt’altro che finita.

 

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