La rotta Balcanica, un viaggio tra incertezza e pericoli

Dal 2015, quando fu attraversata da quasi un milione di persone, la rotta Balcanica è diventata uno dei percorsi principali intrapresi dalle persone migranti nel loro lungo viaggio per raggiungere l’Europa. Nel tempo la rotta ha assunto un ruolo centrale nell’evoluzione dei fenomeni migratori, trasformando i Balcani in uno snodo importante per l’immigrazione irregolare nell’Unione Europea. Purtroppo, la rotta Balcanica è anche tristemente nota a causa degli innumerevoli respingimenti, dell’uso sistematico della violenza contro i rifugiati in transito e per le difficili condizioni di vita nei centri di accoglienza.

 

Com’è iniziata

La guerra in Siria e il deterioramento delle condizioni di sicurezza in Iraq ed Afghanistan hanno avuto un ruolo chiave nel trasformare la Turchia nella meta principale per le persone migranti, rendendola la nazione con il più alto numero di richiedenti asilo e rifugiati nel mondo, secondo le più recenti stime dell’UNCHR. Dal 2015, per raggiungere l’UE, le persone in fuga da conflitti e persecuzioni iniziano ad usare la rotta dalla Macedonia del Nord, Serbia, Albania, Kosovo e Montenegro, passando attraverso Bosnia e Croazia.

A favorire questo fenomeno è stata anche la Serbia che, attraverso la sua politica dei visti basata su accordi bilaterali con i paesi che non riconoscono il Kosovo, è diventata meta privilegiata di persone migranti provenienti da Siria, India, Burundi, Tunisia e Cuba, da cui poi tentano di entrare nei paesi europei confinanti.

In seguito all’aumento dei tentativi di attraversamento delle frontiere, i paesi Balcanici hanno deciso di aumentare la sicurezza dei loro confini con l’innalzamento di muri e alte recinzioni di filo spinato. Sebbene le barriere fisiche non siano vietate dal regolamento Europeo, devono tuttavia essere conformi alle leggi internazionali ed europee, compresa la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, come il diritto di chiedere protezione internazionale.

Di conseguenza, la rotta Balcanica si è modificata includendo ora paesi come Bosnia e Croazia. Una volta arrivate in Bosnia le persone migranti sono costrette ad intraprendere un lungo viaggio e attraversare i tre confini: Bosnia-Croazia, Croazia-Slovenia e Slovenia-Italia. L’obiettivo è raggiungere il Paese più vicino membro dell’area Schengen in cui è garantita la libera circolazione delle persone (la Croazia ne fa parte solo dal gennaio scorso), da dove poi possono raggiungere gli altri stati europei.

Per questo motivo, le persone migranti sono costrette ad attraversare un territorio ostile e difficile, affrontando molti pericoli, tra cui mine inesplose. Inoltre, devono superare fitte foreste e pericolosi corsi d’acqua, in condizioni climatiche spesso difficili. Il viaggio può durare settimane, anche mesi, durante i quali si deve tenere un ritmo molto intenso, alternando lunghe camminate al riposo. Per evitare di essere intercettati dalle autorità molto spesso le persone migranti camminano di notte senza poter usare luci o torce.

Coloro che riescono ad arrivare in Croazia vengono violentemente respinti dalla polizia, la quale nega sistematicamente loro la possibilità di chiedere protezione internazionale. Il pericolo e l’incertezza di arrivare a destinazione in questa – purtroppo spesso letale ­– combinazione di ostacoli geografici e fisici, di violenze e abusi viene chiamata “The Game”, perché l’impresa è tanto difficile quanto vincere alla lotteria. Dal 2015 più del 35% delle persone migranti decedute non ha nome o nazionalità ed il tasso di mortalità è in costante aumento.

I principali paesi di origine di chi si avventura su questa rotta sono Siria, Afghanistan, Iran, Pakistan e Turchia. Nel 2022 i tentativi di attraversare la frontiera sono aumentati del 64%, rispetto al 2021, raggiungendo le 330.000 le persone che hanno cercato di raggiungere illegalmente l’EU. Il 47% degli arrivi riguarda principalmente persone da Siria, Tunisia e Afghanistan.

 

La posizione dell’Unione Europea

Per monitorare e fermare gli ingenti flussi di persone, i Membri del Consiglio Europeo e il governo turco nel Marzo 2016 hanno raggiunto un accordo in base al quale chi non è ritenuto idoneo a ricevere protezione internazionale viene rimandato in Turchia. L’accordo ha generato proteste tra le organizzazioni umanitarie e la società civile, ma anche all’interno degli stessi paesi europei, molti dei quali hanno invocato il principio internazionale di non-respingimento, secondo il quale nessuno dovrebbe essere trasferito in un luogo dove ci sono rischi reali di tortura o altre gravi violazioni dei diritti umani.

 

Peggioramento delle condizioni umanitarie dei campi e reiterazione delle violenze

La situazione lungo la rotta Balcanica è soggetta ad ulteriori criticità a causa dei ripetuti tentativi di attraversamento del confine da parte delle persone migranti. La polizia croata mette in atto azioni di respingimento sistematiche e spesso cruente. Molte organizzazioni internazionali e ONG locali hanno ripetutamente segnalato all’interno dei centri di accoglienza condizioni igieniche inadeguate, oltre alla carenza di viveri e difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria di base.

Le rigide condizioni climatiche di queste zone mettono a dura prova le persone che vivono nei centri di accoglienza, prive di un appropriato sistema di supporto e assistenza. Pertanto, queste condizioni peggiorano ulteriormente la condizione di vulnerabilità di coloro che sono già a rischio di sfruttamento e vittime del traffico di esseri umani.

Nonostante le organizzazioni umanitarie abbiano più volte segnalato, con prove schiaccianti, l’uso sistematico della violenza come misura di respingimento ma anche come pratica di violenza psicologica contro le persone migranti, le autorità locali hanno ripetutamente negato e respinto le accuse. Secondo alcune delle testimonianze raccolte dai volontari, la polizia sarebbe colpevole di picchiare e intimidire le persone migranti, detenere o distruggere i loro effetti personali, usare spray al peperoncino, togliere loro i vestiti e costringerli a camminare scalzi nella neve.

 

Considerazioni finali

La situazione nei campi per rifugiati si sta aggravando. Le organizzazioni umanitarie chiedono che siano messe in atto condizioni adeguate di vivibilità all’interno dei centri di accoglienza. Dall’altra parte, le autorità nazionali di frontiera continuano a negare ogni comportamento illecito, assicurando il rispetto delle leggi nazionali in conformità con quelle europee. Purtroppo, si teme che il recente terremoto che ha colpito Turchia e Siria e l’attuale conflitto in Ucraina avranno ripercussioni sulla rotta balcanica, con ulteriore aumento dei flussi migratori. I rischi, le violenze e l’incertezza non scoraggiano tuttavia le persone migranti nel tentare il “Game”, perché raggiungere l’Europa è la loro unica speranza.

 

MOAS promuove e rinnova la necessità urgente di adottare l’unica opzione possibile per una gestione equilibrata del fenomeno migratorio; serve un quadro legislativo europeo più completo che punti all’implementazione di #VieSicureELegali, affinché tutti coloro che fuggono da guerre, povertà, violenze e persecuzioni possano raggiungere l’Europa senza mettere a rischio la propria vita.

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