Perché siamo fuggiti: Estremismo violento

 

A Marzo MOAS pubblicherà una serie di post per analizzare le cause che spingono le persone ad abbandonare il proprio paese. Analizzeremo una serie di fattori, alcuni dei quali riguardano le persone che salviamo e altri che invece svolgono un ruolo centrale nelle migrazioni di massa in senso più ampio. In questa seconda uscita ci concentreremo sull’estremismo violento e sul modo in cui una tale violenza possa provocare migrazioni forzate prima di concentrarci su due paesi particolarmente interessati da questo fenomeno e da cui provengono molte delle persone che salviamo.

Migrazione ed estremismo violento sono due temi ampiamente dibattuti e spesso fraintesi, come emerge con evidenza dal clima politico attuale che spesso fa passare in secondo piano la “crisi dei rifugiati” rispetto alla paura del terrorismo nel dibattito europeo. In questo contesto si pensa sempre che l’estremismo violento sia una conseguenza della migrazione e non il contrario.

Ma qual è il nesso fra estremismo violento e migrazione? Come si può comprendere meglio l’estremismo violento in quanto fattore che provoca la migrazione?

Una definizione di estremismo violento

Ad oggi manca una definizione universalmente accettata di “estremismo violento”: né le Nazioni Unite né l’Europa danno una definizione del termine. Tuttavia, nel Piano d’Azione dell’ONU per prevenire l’estremismo violento viene descritto così:

…L’estremismo violento è un fenomeno vario, privo di una definizione chiara. Non è nuovo, né si riferisce solo a una determinata regione, nazionalità o a un sistema di credenze. Tuttavia, negli ultimi anni i gruppi terroristici fra cui l’ISIS, Al-Qaida e Boko Haram hanno plasmato l’immagine che abbiamo dell’estremismo violento e il dibattito sulle modalità per contrastare questa minaccia. Il messaggio di intolleranza -religiosa, culturale e sociale- che diffondono ha avuto drastiche conseguenze in molte regioni del mondo.

“Estremismo violento” indica una realtà più ampia rispetto al termine “terrorismo”, ma vengono spesso usati come sinonimi a seconda del contesto della discussione e delle motivazioni politiche. In questo testo li useremo entrambi in modo intercambiabile.

L’estremismo violento come causa delle migrazioni forzate

Secondo l’UNHCR, sono tre i paesi che generano oltre la metà dei rifugiati (54%) a livello mondiale: Repubblica Araba Siriana, Afghanistan e Somalia. In tutti i casi si tratta di paesi in cui si sono protratti situazioni di conflitto ed estremismo violento. I dati provenienti da Afghanistan, Iraq, Siria e Pakistan dimostrano che esiste un forte nesso fra il numero di persone che per la prima volta chiedono asilo in Europa e il numero di vittime che il terrorismo provoca nei loro paesi di origine. [1]

Gli effetti devastanti dell’estremismo violento si concentrano in un ristretto numero di paesi. Stando al Global Terrorism Index del 2016, il 72% delle vittime dovute ad atti di terrorismo nel 2015 provenivano da  Afghanistan, Nigeria, Pakistan e Siria. Circa tre quarti di questi attacchi sono stati perpetrati da 4 gruppi terroristici: ISIS, Boko Haram, i talebani e Al-Qaida.

Se prendiamo in considerazione Iraq e Nigeria -entrambi caratterizzati da continui tumulti causati rispettivamente da ISIS e Boko Haram- diventa chiaro il nesso fra estremismo violento e bisogno di abbandonare il proprio paese.

Estremismo violento in Iraq e Nigeria

Il Global Terrorism Index del 2016 definisce l’ISIS come il gruppo terroristico più letale al mondo e responsabile almeno del 62% del totale dei decessi di matrice terroristica in Iraq.  Boko Haram, gruppo attivo in Nigeria, risulta essere il secondo con 5.478 vittime di cui tre quarti in Nigeria e le restanti sparse fra Cameroun e Niger.

Lo sfollamento non è la sola conseguenza del terrorismo, ma un obiettivo calibrato con attenzione e finalizzato a frammentare intere comunità. [2] Ad esempio, quando l’ISIS si è autodichiarato Califfato nel 2014 a Mosul, in Iraq, la popolazione è diminuita in modo significativo passando da 2.5 milioni a 1 milione mentre Boko Haram ha costretto oltre 2.6 [3] milioni di persone a abbandonare il proprio paese. [4]

Questi gruppi possono rendere impossibile la vita di intere comunità. Ad esempio, secondo Human Rights Watch (HRW), l’ISIS continua ad usare la violenza sessuale come strumento di controllo, mentre l’International Rescue Committee ha documentato l’imposizione di norme durissime per regolare il modo di comportarsi e vestirsi che -se trasgredite- vengono punite con la pena di morte.

Al di là di violenze e persecuzioni che colpiscono i singoli, l’ambiente nel suo insieme può essere distrutto in profondità e agire come fattore scatenante dello sfollamento. [5]

Le persone possono fuggire non solo a causa del terrorismo, ma anche per l’incapacità da parte degli stati di dar loro protezione o per l’impatto complessivo sulla qualità della vita [6].

HRW, ad esempio, ha documentato come le famiglie che vivevano sotto il regime dell’ISIS abbiano subìto un’escalation dei prezzi dei prodotti alimentari o difficoltà a reperire contanti oltre a attacchi aerei da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti e dal governo iracheno. Stando a HRW è proprio la combinazione di abusi da parte dell’ISIS, timore di incursioni aeree e mancanza di generi alimentari ad aver costretto le persone a fuggire.

Una situazione simile è stata osservata nel nord est della Nigeria dove la crisi e lo sfollamento provocato da Boko Haram hanno causato carenze alimentari endemiche e condizioni simili a quelle di una carestia con 4.5 milioni di persone che necessitano aiuti alimentari. Ma le instabili condizioni di sicurezza ostacolano le azioni in risposta a queste stesse carenze alimentari e gli operatori umanitari sul campo hanno documentato che molti sfollati interni sanno di non poter tornare indietro a causa della devastazione lasciata dal conflitto e dalle costanti minacce di violenza.

Molte delle persone salvate da MOAS durante le missioni SAR hanno preso la difficile decisione di fuggire a causa dell’escalation di violenze nei propri paesi d’origine.

[1] Alex P. Schmid, ‘Links between Terrorism and Migration: an Exploration’ (May 2016) ICCT Research Paper pg4

[2] Dr Khalid Koser, Executive Director; and Amy E. Cunningham, Advisor, the Global Community Engagement and Resilience Fund (GCERF), ‘Migration, Violent Extremism and Terrorism: Myths and Realities’  Global Terrorism Index 2015 83

[3] Alex P. Schmid, ‘Links between Terrorism and Migration: an Exploration’ (May 2016) ICCT Research Paper pg26

[4] Ibid

[5] Dr Khalid Koser, Executive Director; and Amy E. Cunningham, Advisor, the Global Community Engagement and Resilience Fund (GCERF), ‘Migration, Violent Extremism and Terrorism: Myths and Realities’  Global Terrorism Index 2015 83

[6] Ibid



MOAS ha salvato la signora Hallo, di 84 anni proveniente da Sinjar in Iraq, che è dovuta scappare dal paese col marito 92enne e la famiglia del figlio dopo che l’ISIS ha ucciso il cognato, altri membri della famiglia e i vicini di casa. Sono stati messi in salvo durante una missione MOAS nel Mar Egeo mentre si trovavano su un gommone fatiscente.


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Prima di essere recuperato da MOAS,  Anyasodar, di 42 anni, lavorava nell’industria mineraria in Nigeria. Due suoi figli sono morti e ha perduto tutto in un bombardamento da parte di Boko Haram. Quando non ha potuto più sostenere le spese per l’istruzione e l’assistenza sanitaria per la sua famiglia, ha deciso di intraprendere il pericoloso viaggio verso l’Europa. MOAS ha salvato Anyasodar nel corso della missione nel Mediterraneo Centrale e in quell’occasione ci ha confidato che sogna di poter portare in Europa gli altri figli per avere una vita migliore.

 

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